In questi giorni tutti speriamo di tornare presto alla situazione ante coronavirus. Questa speranza è giustificata dal dramma che ha colpito il Paese e sconvolto la vita di tutti noi, con un numero impressionante di vite perdute. Il desiderio è quello di chiudere questo lungo periodo buio, al più presto, fra due parentesi . C’è anche chi prova a interrogarsi sugli insegnamenti che dobbiamo trarre da questa drammatica situazione. E le aspirazioni sono tante, belle, in gran parte dense di senso, di buon senso. Non manca neanche però chi ci ricorda che la memoria umana è piuttosto corta e che, dopo un po’ di tempo, torneremo ad abitare gli stessi vizi, gli stessi limiti che oggi, in una sorta di autocoscienza collettiva, guardiamo come fardelli di cui liberarci. In questo grande rimpianto per il “tempo passato”, rischiamo di imbarcare tutto, di non distinguere ciò che dobbiamo cambiare da ciò che dobbiamo tenere, conservare. Insomma rischiamo che ciò che è apparso così evidente in questi mesi, in queste settimane, come fragilità che vengono da lontano, venga rimosso in questa corsa affannosa a ripartire, senza se e senza ma. Chi opera, ad esempio, nel settore culturale sa che, prima o poi, la bolla sarebbe scoppiata, che la resilienza, i sacrifici di questi anni avrebbero trovato uno scoglio su cui sbattere. Musei, teatri, cinema, luoghi della cultura chiusi, eventi culturali sospesi a data da destinarsi, progetti costruiti con fatica e risorse, sospesi o annullati. In questi giorni non sono mancati appelli per garantire la sopravvivenza, per adottare misure concrete e immediate a sostegno del reddito, più o meno precario, degli operatori culturali. E ci sono primi provvedimenti governativi che, seppure con qualche evidente limite, tentano di dare una risposta. Ma tutto il settore culturale è stato colpito allo stesso modo? O la crisi di questi mesi ha messo in evidenza ancora più chiaramente la fragilità di alcuni ambiti più di altri? E soprattutto perché serve una analisi più attenta per non restare prigionieri di un passato che ha evidenziato tutte le sue problematicità? Prima di procedere dobbiamo sottolineare alcuni dati incontrovertibili. In questi ultimi anni è cresciuto notevolmente il numero di visitatori dei musei, delle gallerie, delle mostre. La riforma del Ministro Franceschini, seppure con qualche limite, ha prodotto buoni frutti. Anche il teatro, il cinema, non in modo omogeneo sull’intero territorio nazionale, hanno visto aumentare il proprio pubblico. I maggiori eventi culturali hanno registrato ottime performance. Le biblioteche sono diventate vere e proprie infrastrutture sociali, diventando luoghi di socialità importanti, soprattutto nelle aree più periferiche. Si è dato vita al più grande intervento contro la dispersione scolastica e la povertà educativa. Un quadro incoraggiante anche se non mancano i chiaroscuri. Intorno a questo complesso processo sono cresciute molte attività di servizio, spesso con una buona dose di innovazione, soprattutto di prodotto (il digitale, i videogames ecc), nuove attività, nuovi progetti. In questo contesto il fenomeno più interessante di questi anni è rappresentato dal moltiplicarsi di luoghi, un tempo dismessi o abbandonati, che sono stati recuperati ed hanno trovato un nuovo destino grazie all’intrapresa di associazioni, comitati di cittadini, cooperative, imprese sociali. Si è così irrobustito il tessuto sociale e culturale di molte città, sono nate esperienze di cittadinanza attiva, si è consolidato o sviluppato un capitale sociale che ha arginato, in molti casi, fenomeni di disgregazione sociale e spaziale. Le stesse Amministrazioni locali hanno raccolto queste sfide e si sono attrezzate con i Regolamenti sui beni comuni, hanno stipulato Patti di collaborazione, hanno avviato veri e propri processi di co-progettazione. Sono nate reti e partenariati per certi versi inediti. Gli esiti non sono stati omogenei ed hanno avuto caratteri diversi da città a città. E questa volta il Mezzogiorno ha generato un tasso di intrapresa e di innovazione che, probabilmente, può essere una delle leve di un possibile ripensamento dello sviluppo di quelle aree. Chi sono, o sono stati, i protagonisti di questa stagione? I soggetti sociali sono stati indicati. Ad essi si devono aggiungere gli enti pubblici (soprattutto Regioni e Comuni), le fondazioni bancarie, le fondazioni private, la Fondazione con il Sud e persino imprese private e istituti di credito. (continua)