Siamo al dunque. Ho chiuso il precedente articolo proponendo un progetto di sistema da parte della Fondazioni bancarie e di quelle private per sostenere le organizzazioni di Terzo settore. A quali condizioni. Innanzitutto sarà necessario salvaguardare la trasparenza. I soggetti erogatori dovranno rendere pubblici i requisiti dei soggetti che ritengono di poter sostenere. Meglio se questi requisiti fossero oggetto di una concertazione con il Forum del Terzo settore. C’è una seconda condizione. Abbiamo fin qui cercato di argomentare che l’impatto dell’emergenza sanitaria sarà molto diverso a seconda della solidità e dimensione degli enti culturali e sociali. Per queste ragioni un intervento di sistema dovrebbe prevedere due Fondi, ciascuno gestito secondo criteri pubblici e condivisi, uno per le organizzazioni più strutturate e uno per quelle più piccole che possono documentare una presenza ed un insediamento radicato e storicizzato. Possono esserci proposte migliorative, ovviamente, ma questa articolazione dell’intervento di sistema, per la prima volta, non aggiunge risorse solo a “chi ha già” ma incoraggia la crescita e lo sviluppo di chi fa molta fatica a “raggiungere i piani alti”. Se non ci fossero le condizioni per un intervento di sistema, nonostante l’emergenza di queste settimane, le singole Fondazioni bancarie o private potrebbero, ciascuna autonomamente, attivare un meccanismo come quello descritto. Ma bisogna tener ben presente il divario fra Nord, Centro e Sud a cui abbiamo già fatto riferimento. Se questa proposta si riferisce ai soggetti erogatori privati, non possiamo non interpellare le amministrazioni pubbliche perché adottino misure adeguate alla crisi devastante che ha colpito gli enti di terso settore culturali e sociali. Oggi Carlo Borgomeo, Presidente della Fondazione con il Sud, su Il Mattino di Napoli, lancia un appello al Ministro Giuseppe Provenzano per un intervento straordinario a favore delle organizzazioni, soprattutto del Mezzogiorno, che operano in ambito sociale. Quindi una proposta che punta, in condizioni eccezionali, al superamento transitorio dell’allocazione delle risorse attraverso i bandi. Una proposta che sottoscrivo, auspicando che venga accolta e adottata anche con riferimento al settore culturale. C’è tuttavia una più ampia platea di amministrazioni pubbliche che possono essere chiamate in causa. Penso soprattutto alle Regioni, ai Comuni e allo stesso Ministero dei beni culturali e del turismo. Un processo così complesso, che contempli allo stesso tempo l’attribuzione di risorse per finanziare progetti attraverso il sistema del bando pubblico e il finanziamento alle organizzazioni, necessita di una procedura di concertazione trasparente. Disponiamo di norme e strumenti, ancora in gran parte inutilizzati o sottoutilizzati, che possono venirci in aiuto. Mi riferisco, ad esempio, a quanto previsto negli articoli 55 e 56 del Codice Terzo Settore. In particolare l’art. 55 in cui gli Enti pubblici sono chiamati a promuovere e sostenere gli ETS che operano all’interno dei settori indicati dall’art. 5 dello stesso Codice. A questo scopo l’art. 55 disciplina tre strumenti, connessi secondo una logica di filiera: la co-programmazione, la co-progettazione e l’accreditamento. In questa sede non possiamo soffermarci su due degli articoli più innovativi e allo stesso tempo più discussi in sede di applicazione. Chi avesse voglia di approfondire può, fra gli altri, consultare una bella pubblicazione edita da Laterza, a cura di Antonio Fici, Emanuele Rossi, Gabriele Sepio e Paolo Venturi, “Dalla parte del Terzo settore”, promossa dal Forum del Terzo settore e dall’Associazione Centri di servizio per il Volontariato. Qui giova richiamare solo due punti. Innanzitutto che gli strumenti previsti possono essere attivati solo dalla Pubblica Amministrazione. Se si vuole quindi promuovere e sostenere, così come prevede la norma, gli ETS, sono le amministrazioni pubbliche che devono attivare i procedimenti. Gli ETS possono sollecitare l’avvio della procedura ma non possono fare altro. Il secondo punto. Grazie a questi strumenti è possibile realizzare progetti di interesse generale attraverso la costituzione di partenariati fra PA ed ETS, in regime di trasparenza, attraverso un Avviso pubblico. Questi stessi strumenti potrebbero essere utilizzati dal Ministero dei beni culturali e del turismo e dai Comuni per l’applicazione dei comma 2 e 3 dell’art. 71 del Codice del Terzo settore. In questo caso la norma prevede la possibilità per gli Enti pubblici di affidare in concessione d’uso i beni culturali non utilizzati per la loro valorizzazione e gestione ad ETS. La co-programmazione potrebbe consentire di dar luogo ad un piano nazionale condiviso che identifichi i beni, a cominciare da quelli in capo allo Stato e alle amministrazioni pubbliche centrali, definisca procedure semplificate, individui strumenti di sostegno agli ETS che si candidano alla gestione. In questo contesto potrebbero essere moltiplicate le esperienze di partenariato pubblico-privato ex art. 151, comma 3 del Codice dei contratti pubblici. Abbiamo fatto solo qualche esempio per sostenere la necessità di affrontare la fase post emergenziale cercando di affrontare alcuni nodi che ci trasciniamo da troppo tempo. Nodi che si sono ancora più ingarbugliati in queste settimane. Avremmo dovuto scioglierli da tempo ma troppe titubanze, troppi vincoli, e anche una qualche fragilità del mondo del no profit, non l’ha reso possibile. Ora dobbiamo affrontarli con determinazione. Ciò che appare chiaro da tempo, cioè un evidente scarto fra la domanda espressa da soggetti per realizzare progetti e l’offerta di risorse, contributi e finanziamenti sia pubblici che privati, impone un cambio di passo. Questo è il tempo, se non vogliamo assistere ad un impoverimento di quelli che un grande sociologo come il compianto Achille Ardigò definì i mondi vitali.